L’Osservatorio carcere UCPI interviene sui divieti imposti ai familiari dei detenuti nell’esercizio del diritto di visita. In allegato il documento
Un anno di convivenza con questo “maledetto” virus è passato ed il carcere resta uno dei settori tra i più colpiti. La “congiura del silenzio” ed il regime della disinformazione impongono – contro obblighi morali e normativi – di rivolgere altrove ogni più opportuna attenzione pubblica.
Al sovraffollamento cronico, alle deficienze della sanità penitenziaria, alla cancellazione della già esigua attività trattamentale si è aggiunta, da subito, l’affievolimento dei rapporti tra i detenuti e i loro familiari.
Le visite ai detenuti, parte insopprimibile di un più ampio diritto fondamentale all’affettività, hanno rappresentato la spia più evidente della virulenza pandemica.
E’ proprio sulla improvvisa chiusura di ogni contatto tra i detenuti ed il mondo esterno al carcere, primo fra tutti i familiari – avvenuta, senza alcuna forma preventiva di dialogo e comunicazione, una domenica di marzo dello scorso anno – che si è innestata una delle più violente, per quanto esecrabile, rivolta penitenziaria degli ultimi decenni.
Al di là di leggende metropolitane buone a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla vera emergenza carceraria, sappiamo bene che quelle rivolte, in cui ben 13 detenuti, seppure in differenti istituti, hanno trovato la morte improvvisa e contemporanea, sono state determinate, innanzitutto, dalla interruzione improvvisa e rigorosa di ogni contatto e visita, soprattutto dei familiari.
Proprio per porre adeguato rimedio alle severe ed indiscriminate cancellazioni dei contatti tra familiari e detenuti, si è cercato, quindi, di allargare l’ambito dei colloqui a distanza, attraverso le più opportune tecnologie.
Superata l’improvvisa ondata del virus, si sono consentiti nuovamente, almeno in parte, i colloqui in presenza anche se, responsabilmente, si è cercato di sollecitare l’uso dei colloqui in video per contrastare la pandemia in essere.
Da alcune settimane, però, ci giungono notizie di situazioni paradossali ed incresciose che incidono pesantemente sul nucleo centrale del fondamentale diritto all’affettività dei detenuti, appunto i colloqui con i familiari.
Ci vengono segnalati casi, in diverse regioni, di coniugi e figli cui, dopo aver prenotato il colloquio in presenza con il proprio congiunto, viene prospettata una singolare alternativa: effettuare il colloquio prenotato ed essere segnalati alla Prefettura competente alla irrogazione della sanzione per la violazione della normativa di contenimento ovvero rinunziare al colloquio stesso, evitando, così, la segnalazione per la sanzione.
Un metodo davvero singolare!
Addirittura, il provveditorato regionale per il Veneto – Friuli Venezia Giulia – Trentino Alto Adige, con nota 40935 del 20/11/2020, ha raccomandato ai direttori degli istituti penitenziari del distretto interregionale di “non dare corso alla richiesta di prenotazione del colloquio” per i familiari di detenuti provenienti da regioni contrassegnate dal colore rosso o arancione, essendo fortemente limitate e/o vietati gli spostamenti della popolazione civile, richiamando, a tal fine, quanto sul punto riportato nelle Faq pubblicate sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Francamente risulta davvero paradossale che un’indicazione pubblicata su un sito web possa costituire norma positiva in grado di escludere la visita al congiunto detenuto dai casi di cd “necessità”, previsti dal D.L. 19/2020, convertito in L. 35/2020, che giustificano gli spostamenti tra regioni o tra comuni della stessa regione.
Se è vero che la stessa legge prevede, al comma 10 dell’art. 221, la possibilità dei colloqui a distanza, nessun diniego a quelli de visu può essere imposto con comunicazione interna all’amministrazione penitenziaria, men che meno con le c.d. Frequently Asked Questions specie laddove, queste ultime, considerano come spostamenti consentiti, dettati dalla situazione di necessità, le visite, seppure su regioni diverse, tra genitori separati e figli.
Insomma, siamo in presenza di un’inammissibile discriminazione perpetrata attraverso una prassi extra ordinem, nonché imposta con la prospettazione di un male possibile, ovvero il rischio di essere segnalati al Prefetto competente per l’applicazione delle sanzioni.
Ci auguriamo che il nuovo Ministro della Giustizia ed il DAP pongano rimedio alla situazione da noi denunziata, inibendo, a tutti i livelli, prassi adottate in spregio al sistema costituzionale ed in grado di violare il diritto fondamentale all’affettività dei detenuti.
Roma, 9 marzo 2021
L’Osservatorio Carcere UCPI